L'altro giorno un'amica, vedendo i miei figli mascherati, mi ha chiesto se pure io mi fossi agghindata e travestita in qualche modo.
No, non mi sono vestita questo Carnevale. E neppure quello prima, nè quello prima ancora e tantomeno quello precedente. Le volte in cui mi sono messa in costume a Carnevale le conto sulle dita di una mano.
Ne ricordo una in particolare, particolarmente ben riuscita.
Mi ero vestita da Olivia, quella di Braccio di Ferro, e nonostante la mia figura sia tutt'altro che spilungona e longilinea risultavo parecchio credibile con quella magliettina rossa dal colletto bianco, la gonna lunga al ginocchio e lo chignon nero ben piazzato sul cucuzzolo della mia testolina.
La verità, Olivia a parte, è che non ho mai amato mettermi in maschera a Carnevale.
Nemmeno (o forse soprattutto) da bambina. Sarà che non ho mai avuto un costume che mi piacesse davvero.
Non ho nemmeno mai avuto un costume vero, a pensarci bene, se non si conta quello da ballerina che avevo alla materna (io...ballerina? naaa...).
Poi ricordo solo un abito da damina fatta a mano, di seconda mano, passatomi da mia cugina.
Dai colori per niente sgargianti, non un brillantino, uno strass, un infimo zircone di plastica, non una balza, un fiocco, un pizzo.
Unico vezzo: un cappellino con la veletta di tulle, ricavato da una vaschetta di plastica, quelle dei cavoletti di Bruxelles per intenderci, rivestita di carta crespa, fine opera d'ingegno ricicloso-creativo di tutto rispetto, devo riconoscerlo.
Ricordo che guardavo con una languida invidia le gonne ampie e i trionfi di glitter rosa e i tripudi di rasi azzurri di certe mie amiche. Niente che non abbia superato, per carità. Son diventata grande e grossa lo stesso.
Però. Però a mia figlia, che ora è completamene immersa in quella fase in cui tutto è magico, fatato, principesco, ho deciso che avrei evitato, entro certi limiti, questo strazio. Scendendo pure a compromessi con i miei "ideali" educativi e mettendo da parte velleità sartoriali, che in fondo non ho.
Le ho comprato un vestito. Con la gonna lunga, il tulle, i brillantini e le perline. Grigio perla e bianco ghiaccio. Da Regina delle nevi, che principesse del ghiaccio in giro ce n'erano pure troppe quest'anno.
Unico vezzo mamamade: una coroncina di feltro, minimale ed elegantissima, a mio modesto parere. Dove sta scritto in fondo che regale debba per forza far rima con pacchiano.
"E suvvia, proviamo ad educarlo un po' questo buon gusto!" pensavo tronfia e intimamente fiera tra me e me passeggiando verso casa dopo una delle prime feste mascherate di questo febbraio, quando lei schietta e decisa mi fa: "Lo sai mamma, da cosa vorrei vestirmi il prossimo carnevale? Da Elsa, quella vera!"
Ho provato nei giorni successivi ad arrampicarmi sugli specchi spiegandole che mica è detto che Elsa abbia solo quel vestito azzurro. Insomma, è una regina, avrà pure qualcos'altro nel suo armadio, santo cielo! Poi mi è venuta in mente Puffetta e ho cambiato discorso.
Comunque a me il Carnevale piace. Ci sono parecchio legata al Carnevale. E tanti miei ricordi sono legati a Carnevale.
E' stato teatro di tante prime volte, di primi passi, spesso barcollanti, fatti da sola fuori nel mondo.
Amicizie, divertimenti, prime serate fuori a far baldoria quando il sabato grasso era d'obbligo, per noi liceali della terraferma, riversarci nelle calli e nei campielli, all'insegna di quel "semel in anno..." che assumeva quasi i toni di un rito iniziatico. Un po' come i falò sulla spiaggia nelle estati di molti. Con la differenza che è inverno, fa freddo e non fai che camminare invece di startene seduto in panciolle di fronte al fuoco che scoppietta.
Venezia e il Carnevale han fatto da quinta ad una delle mie più belle amicizie, venuta da lontano e mai più ripartita. E ricordo quanto tutto sembrasse ancor più bello anche a me, visto nel riflesso dei suoi occhi.
Venezia e il Carnevale sono state il mio primo lavoro. Apprendista artigiana in un laboratorio di maschere tradizionali. Avevo cominciato proprio a febbraio, nel pieno dell'attività. Lavoravo con un grembiulone bianco addosso, le mani impiastricciate di colla, il mio inglese sempre un po' stentato e il mio francese allora così fluido, le maschere appese fino sul soffitto da spolverare, la Commedia dell'Arte da studiare, affascinante, antica, saggia e sempre attuale.
Era un gran bello lavoro. Avrebbe potuto benissimo essere il lavoro della mia vita. Ma in quei miei lontani 21 anni lungimiranza e costanza scarseggiavano. Ero ancora all'inizio di tante cose, sulla porta di tanta vita. Avevo ancora un sacco di travestimenti da provare e trasformazioni da sperimentare.
Buffo pensare che la mia carriera lavorativa sia iniziata in un posto con un nome così.
Buffo ed eloquente.
Comunque visto che era Carnevale martedì sono andata a Venezia.
E' sempre un'ottima idea andare a Venezia.