giovedì 24 aprile 2014

dalle uova nascono i fiori

Ho iniziato che era marzo.
A dire il vero ho iniziato pure prima, vista la mole di cartoni delle uova raccolti nei mesi precedenti: nei ritagli di tempo li tagliavo e sezionavo in lungo e in largo, ricavandone fiori e campanelle e la felice consapevolezza di riuscire ancora a ritagliarmi del tempo, nonostante a volte mi senta una trottola che gira impazzita.
Frammenti di tempo in cui muovere le mani, senza troppo impegno, senza tanta fatica, per il puro e semplice piacere di creare, dare forma, trasformare.
Dai cartoni delle uova si possono ricavare moltitudini di forme,da assemblare in altrettante moltitudini di combinazioni per ricavarne, indovinate?, svariate moltitudini di oggetti e creazioni.
Fiori, per esempio.
Questa volta i miei fiori non sono spuntati dai sei buchetti porta-uova, come ero solita fare, ma dai coni centrali: per ogni cartone ho ricavato quindi solo due fiori, un apparente spreco di materiale, ma che fiori, però!
Tulipani, calle, campanule. Graziosi, leggeri, eleganti.  
In un caldo e luminoso pomeriggio di marzo ho spostato la postazione pastrocchi e colori in terrazza e abbiamo iniziato a colorare tutte quelle corolle.
Tempo cinque minuti il piccolo era già migrato altrove, la grande mi ha fatto compagnia un altro po'.
Non molto a lungo a dire il vero e alla fine mi sono ritrovata con una decina di fiori colorati, e tutti gli altri no.
E così, complice un pomeriggio di relax con il piccolo dai nonni e la grande a scuola mi sono presa il lusso di una lenta e colorata mezz'ora, io e gli altri "mila" cartoni rimasti, chicchera di caffè in una mano e pennello nell'altra.
Una distesa di coni colorati sul tavolo, la luce calda del sole, il silenzio tutt'attorno: rigenerante, a dir poco rigenerante!

Una volta asciugati mi sono ritrovata con una cassettina piena-zeppa di fiori colorati e foglioline verdi, che ho tirato fuori in una di quelle mattine, troppe questo mese..., di febbre e tosse che hanno scandito il ritmo di questo aprile.
Ho chiamato i bimbi sul tappeto e...tanto per cominciare, questa bellissima scatola di perline del legno è stata interamente svuotata sul tappeto. Tutta, ma proprio tutta.
Non su mio suggerimento, ovvio. Ma per anarchica iniziativa del piccolo che ha deciso di boicottare le mie intenzioni creative con questo colpo di scena molto teatrale e di grande effetto scenico, non c'è dubbio.
Le perline di legno sono così uscite di scena e hanno fatto il loro ingresso perforatrice e spago.
E per un po' qualcuno si è divertito ad infilare fiori e foglie, e a farne una ghirlanda.
Che è andata a posarsi su una mensola della cucina.
Un'altra ghirlanda invece è finita in camera mia, sulla mensola di fianco al mio letto, portando colore e riempiendo un po' quei muri ancora tanto vuoti.
E per finire, visto che avanzano ancora fiori (l'avevo detto che erano taaanti, no?!), sabato scorso, mentre qualcuno si dedicava al lavaggio dell'auto, evento più unico che raro, e qualcuno pisolava della grossa, io e la mia bimbetta abbiamo dato vita a qualche mazzolino da mettere in vaso, un'ottima, durevole ed economica alternativa ai fiori recisi.
L'occorrente questa volta l'abbiamo trovato in cucina: stuzzicadenti lunghi lunghi, qualche bottiglietta di vetro. Aggiungere qualche goccia di colla e, vista l'assenza del piccolo sabotatore, perline di legno!
Il procedimento è banalissimo: infilate qualche foglia, poi il fiore, fissandone la base alle foglie con qualche goccia di colla vinilica. 
Finito!
Le foglie che ha usato Cora avevano invece i fori molto larghi, e quindi per fissarle al bastoncino ed evitare che scivolassero giù, abbiamo messo alla base una perlina di legno, cercando fra le tante quelle con il foro largo il giusto per bloccarsi senza l'aggiunta di colla.
Eccoli qui, fatti e finiti, a far bella mostra di sè in salotto.
Graziosi, no?!

martedì 22 aprile 2014

cos'ho trovato nell'uovo



Più che un fine settimana pasquale è sembrato un weekend semi-natalizio, con le uova da rompere al posto dei doni da scartare e con la colomba invece del pandoro, ma per il resto il clima, atmosferico e familiare, è stato davvero più dicembrino che primaverile.
Avvolgente e caldo.
Niente tovaglie stese sul prato, niente gitarelle fuori porta, niente gote rosse di sole e vinello.
Una due giorni di mattinate sotto il piumino, lauti banchetti in famiglia, ozi sul divano e poco più.
I lauti banchetti non si sono tenuti tra queste mura e quindi non ho avuto tavole da imbandire e manicaretti da preparare.
Solo la credenza del nonno e la porta di casa hanno avuto l'onore di vedersi agghindare a festa.
Ho pure ritrovato uova, gallina e coniglio, in una scatola di scarpe giù in garage: è stato facile, c'era su scritto "pasqua"...quando uno dice che essere ordinati aiuta. Certo, peccato che a me manchi sempre quella dose di memoria utile a ricordare dove ho messo cosa, per rendere efficace tutto quel fare ordine.



Nell'uovo quest'anno ho trovato...
Un sabato pomeriggio a creare fiori di cartone con Cora, mentre il piccolo dormiva e Paolo lavava la macchina.
Un'auto pulita e lavata, per la seconda volta in quasi cinque anni.
Un sabato sera con gli amici, una pizza in cartone, chiacchere, risate, bimbi e un pancione.
Un bimbo uscito da quel pancione, 24 ore dopo quella pizza.
Ormai le nostre serate tra amici assomigliano più ad un kindergarten che altro. Bello!
Ho trovato una domenica di vento, nubi e sprazzi di sole.
Due ore di relax deluxe: i bimbi lasciati a casa con nonni e zii, due ore per noi, una breve passeggiata, il cinema, un ottimo film che vai a vedere sapendo già che non resterai delusa, una gioia per gli occhi e un piacere per le orecchie.
Una domenica sera placida con uno spuntino sul divano e un viaggio a cui pensare.
Una Pasquetta nuvolosa, fredda e carica di pioggia.
Un altro pranzo in famiglia. Cioccolato e giochi.




Da stamattina si torna alla solita routine.
Solo per tre giorni.
Tre giorni in cui controllerò compulsivamente le previsioni meteo a medio termine e la pelle e la temperatura dei bimbi, con l'invincibile ansia di trovare pioggia e nubifragi, febbroni da cavallo, macchiette rosse e sospette. Succede sempre così quando sto per partire.
Consapevole che tanto se deve far brutto farà brutto comunque, e lo scopriremo a tempo debito. E che se proprio si devono ammalare, lo faranno comunque, nonostante i biglietti del treno già in tasca e le valigie fatte.
Tre giorni in cui spererò ardentemente che quel pacco arrivi prima della nostra partenza.
C'è un regalo dentro, per me, in anticipo sul mio compleanno: un obiettivo nuovo.
Se arriverà avrò tutta Roma per provarlo ed imparare ad usarlo.
Se non arriverà in tempo ad ogni foto che scatterò penserò a come sarebbe venuta se fosse partito anche lui con noi.
Se non arriverà, pace. Poco importa. Noi partiamo, è questo che conta.
Ancora qualche giorno e poi, finalmente, via di qui.
I miei piedi e i miei occhi hanno fame: è ora di mettere in tavola e abbuffarsi di mondo.



venerdì 18 aprile 2014

di trasformazioni e cicli, di bruchi e farfalle

Se è vero che amo i libri illustrati per l'infanzia, quelli solo illustrati meritano un posticino tutto loro nella mia personale classifica.
Quelli di Iela Mari in particolare. 
Per i temi proposti, per il gusto minimale eppure tanto efficace delle illustrazioni, per quel senso di meraviglia che lasciano addosso una volta letti.
Li ho sempre proposti ai miei bimbi, fin da piccoli, ma adesso che Cora, superati i tre anni e sempre più vicina ai quattro, ha raggiunto una padronanza di linguaggio e una capacità di osservazione tali da interpretare e associare immagini, collegandole tra loro secondo nessi di prima-e-dopo e causa-ed-effetto stanno dando il meglio di sè.
Cora ha adorato questo libro, scritto da Iela Mari con il marito Enzo, preso il mese scorso in biblioteca.
Lo avevamo letto molte volte in biblioteca, ma mai portato a casa con noi finora.
E una volta portato a casa Cora, per la prima volta, ha accettato a fatica di restituirlo, quindi è entrato di diritto nella wish-list di libri da comprare prima o poi, più prima che poi.


La storia è la sempre affascinante e magica vicenda del bruco che diventa farfalla, sulla quale si possono tessere infiniti significati: la trasformazione da "brutto a bello", un po' come il brutto anatroccolo.
L'evolversi costante di chi siamo, delle nostre identità, oggi diversi da ieri, ma pur sempre noi, e mi viene mente il Brucaliffo, con il suo inquietante ma stimolante "tu, cosa esser tu?".
La necessaria pausa che a volte precede i grandi cambiamenti, la fatica che richiede ritagliarsi uno spazio, che ci contenga, ci protegga, ci ripari dal mondo, in cui riposare ma anche lavorare su noi stessi, in uno stato di stasi apparente, in cui diamo forma e vita a un nostro nuovo io, che rinasce e spicca il volo, uscendo poi dal bozzolo.
Ma mi fermo qui con questi vagheggiamenti, che non ho gli strumenti giusti per spingermi oltre in tali riflessioni e argomentarle per benino. Sono solo impressioni, suggestioni.

Cora dopo averlo sfogliato un paio di volte con me, in una lettura quasi silente, in cui aperta una pagina aspettavo che, ora, fosse lei a narrarmi quello che vedeva, memore anche delle volte in cui l'avevamo letto in biblioteca, ha iniziato poi a leggerselo da sola, e a leggerlo pure al fratello.
La sua narrazione suonava più o meno così:

una mela, verde. 
adesso è rossa. 
oh, guarda c'è un puntino rosso. un bruco! gnam, gnam mangia la mela, e fa i buchini...vvvvummmm entra di qua ed esce di qua. 
oh, esce e svuiiiiisss scende giù col filo luuungo. arriva sul ramo. 
svuisssssvvvummm, tutto chiuso. è autunno, le foglie sono marroni. 
oh, sono cadute tutte le foglie, forse è inverno. 


guarda! esce. 
è diventato una farfalla!
vola.
un albero fiorito.
si è posata sul fiore e ha appoggiato un uovo.
poi sono caduti i petali e le foglie sono diventate una mela verde con l'uovo.
rinasce un altro bruco e ricomincia la storia.



Credo che ancor più della trasformazione del bruco in farfalla, sia rimasta affascinata dalla ciclicità della storia, di come la fine coincidesse con un nuovo inizio.
La grande lezione che nulla si crea, ma tutto si trasforma.
Se volete saperne di più su Enzo Mari, vi basterà cercare in rete, ma io vi consiglio questo post.

L'altro libro sul tema "brucolico-farfallineo" che abbiamo preso in biblioteca è un altro grande classico della letteratura per l'infanzia: The very hungry caterpillar, di Eric Carle.



Qui la storia assume dei contorni un po' più spiritosi, o perlomeno è così che l'ho percepito io. Anche i miei bimbi, a dire il vero.
Soprattutto Zeno, quando al passaggio del mal di pancia, per aggiungere "pathos" al momento, le nostre facce si contorcevano in espressioni nauseate e doloranti, con tanto di massaggio sul pancino che lui prontamente copiava , accompagnandolo con dei "ohi, ohi" che malcelavano un sorriso divertito.


La storia qui vede un piccolo uovo posato su una foglia schiudersi una domenica mattina.
Ne esce un piccolo bruco, pieno di fame, che strisciando di frutto in frutto scavando gallerie e lasciando buchi bacati al suo passaggio, si ciba di frutti colorati, in un crescendo esponenziale che va dal lunedì al venerdì.



Ma per quanto questo bruco mangi e mangi e mangi, sempre affamato resta e il senso di sazietà sembra proprio non sapere cosa sia.
Finchè il sabato si ingozza di leccornie e manicaretti, golosità e sfizi, fino a scoprire che troppa sazietà si traduce in mal di pancia!


Preso da crampi e dolori, il piccolo bruco golosone si imbozzola e resta  lì dentro a smaltire l'abbuffata per ben due settimane.


Quando poi uscirà di lì, sarà diventato una meravigliosa farfalla!

Sarebbe bene conoscere i propri limiti, e sapersi fermare al momento giusto prima di stare mele sembra raccontarci questo bruco mai sazio.
Ma secondo me, ci sta anche dicendo che a volte occorre stare anche un po' male, per poi stare meglio.
E che forse non tutti i mali vengono per nuocere.
E, se abbiamo superato qualche limite, se siamo andato un po' oltre, possiamo sempre fermarci, prenderci una pausa e ripartire poi, più forti, leggeri e belli di prima!


Questo post partecipa al venerdì del libro.

lunedì 14 aprile 2014

domani ti svegli e...

Puoi amare la tua vita.
Esserne pienamente soddisfatto, sentirti felicemente appagato, andarne ampiamente fiero.
Ciò non toglie che, con una frequenza casuale che va dal blando al frenetico, con sfumature che coprono tutta quella gamma di urgenze e bisogni e capricci che stanno tra il sommesso e l'impellente, la voglia di essere altrove, di fuggire dal "qui e ora", si impossesserà di te.
Ti assalirà alla caviglia, risalirà le tue gambe, ti cingerà sinuosa in vita e con un seducente braccio posato sulle spalle ti farà mancare l'aria.
Così, all'improvviso.
O dopo un inarrestabile crescendo di piccoli ma inequivocabili segnali di stanchezza-noia-fatica, frutto sciupato di una routine fatta di oggi uguali a ieri e domani uguali ad oggi.
Ed eccolo lì allora, il pensiero.
Che si affaccia spalancando i balconi delle tue giornate, lasciandoti abbagliato di fronte all'evidenza che, potendo, non saresti qui ora. Solo per un giorno, eh, mica sto parlando di fughe rocambolesche e cambi repentini e drastici di vita ed identità.
Fantasticare a quel punto è questione di poco, si tratta solo di chiudere gli occhi un attimo e, puff, volare altrove.
Una piccola innocente evasione, che offre il surrogato di una pausa dalla quotidianità, il miraggio di un'oasi di pace, calma, relax e tutti i sinonimi che il vocabolario offre, a scanso di equivoci.
Pensare "domani mi sveglio e mi trovo a..." e accontentarsi del potere evocativo di un pensiero tale, quasi fosse un biglietto del treno.
Spesso però io non desidero essere altrove. La mia evasione viaggia piuttosto sui binari del tempo.
Non il tempo storico, delle ere, dei secoli, delle rivoluzioni.
No, no, sto parlando del mio tempo, il tempo autobiografico degli anni andati e delle vite vissute.
A volte vorrei svegliarmi non altrove, ma in un altro quando.
Vorrei avere una scatolina nel cassetto, un piccolo scrigno in cui aver riposto certe giornate, come rari tesori, piccole gioie preziose.
Poterlo aprire e sceglierne una, scambiandola con oggi, una sostituzione temporanea come in una sorta di macchina del tempo.
Poter rivivere alcuni momenti, passati, semplici, intrisi di quotidianità. Non le grandi giornate che hanno segnato la mia vita, ma quei giorni di tutti i giorni in cui ogni cosa sembrava al suo posto, che hanno un sapore speciale, tutto loro, inconfondibile, in cui pezzi di me prendevano forma e si depositavano sul fondo dei quella che sarei stata poi. Diversa, ma sempre io.


Ricordo quando ero incinta di Cora, passavo le mie giornate in bilico tra ozio e calma, tra piaceri e pigrizie.
Dormivo tanto, leggevo, cucivo, passavo ore su quel pallet-divano nel caldo e luminoso salottino di Casavecchia, guardavo il mondo lì fuori dalla finestra ad arco, mio privilegiato punto d'osservazione sulla campagna che cambiava d'abito con il passare delle stagioni, mentre io mi facevo sempre più tonda.
Regnava una tale calma, e io ci sguazzavo dentro, consapevole che presto sarebbe stato solo un ricordo, che avrei iniziato a ballare una danza ben più movimentata.
Avrei tanto voluto poter mettere da parte una di quelle giornate, ripiegarla in quattro come un foglio, mettermela in tasca per poterla poi tirare fuori nel momento del bisogno, in un giorno in cui con una neonata tra le braccia pianti, sonno arretrato, fatiche e paure avrebbero preso il sopravvento e reso quel divano un posto un po' meno gradevole su cui stare.
Mi piaceva l'idea di un jolly da giocarmi, per spezzare, prendermi una pausa, mettere in stand-by il presente, godersi l' amarcord di un flashback e poi far ripartire il nastro.
Così ogni tanto faccio questo gioco, sogno il passato, desidero di tornare piccola, giovane, felice, spensierata, allegra.
Penso "domani mi sveglio e ...":

ho 7 anni.
è mezzogiorno e mezzo. sono appena rientrata da scuola. a pranzo mi aspetta un piatto di pasta al burro. e poi un bicchiere di pane ed acqua. tutti mi prendono in giro per questi miei gusti da carcerato, ma a me piace tanto. nonna lo fa con il vino rosso, io con l'acqua. inzuppo e mangio, una prelibatezza, non sanno cosa si perdono.
dopo pranzo mi aspettano i compiti: un quaderno a righe larghe, pensierini da scrivere con una replay blu e una rossa, le doppie da cerchiare, qualche operazione in colonna, colorare un po'.
poi alle quattro sarà ora di merenda e cartoni. e poi fuori a giocare: un giro in bici, suonare il campanello ad un'amica, porto una barbie, chiacchero con la gatta, gioco a far finta di essere un'eroina dello spazio, un po' fata un po' guerriera, corro sul mio cavallo alato, così magico che nessuno lo può vedere.
manca ancora un sacco all'ora di cena. il tempo è così lungo, e io ancora così piccola.

ho 17 anni.
mi devo alzare, vestire, prendere l'autobus per andare a scuola.
mi aspettano, nell'ordine, francese, compito d'italiano, filosofia, storia dell'arte, una delle mie mattine preferite.
arrivo a scuola in anticipo, non c'era traffico stamattina. faccio tappa in conchetta a salutare amici e amiche, le solite due chiacchere, una sigaretta.
suona la campanella, passo alla macchinetta del caffè e salgo in classe.
dopo le lezioni, mangerò un toast, seduta sul prato dietro scuola, c'è comitato studentesco alle 4, non farei in tempo a rientrare e tornare.
resto con le amiche, con gli amici. c'è anche lui. nell'aria profumo di fiori di tiglio e nuvole di polline di pioppo si rincorrono sul prato.
è primavera. ho fame di mondo, fame di sapere, scoprire, conoscere. davanti a me mille strade, non so quale prenderò. e non c'è alcuna fretta.

ho 23 anni.
tra un paio di settimane ne compio 24.
primo pomeriggio. rientro stanca dal lavoro.
stamattina mi è toccata l' apertura, e ieri sera ho fatto troppo, troppo, troppo tardi.
ma è venerdì, grazie al cielo.
niente baby-sitter oggi pomeriggio e soprattutto...un fine settimana alle porte.
entro in casa, vado in cucina, da una delle camere arriva una delle amiche con cui vivo.
caffè? caffè! cicca? cicca! chiacchere? chiacchere!
così, a ripetizione ed oltranza, tutto il pomeriggio.
passiamo dal divano al tavolo e ritorno, ogni tanto si unisce qualcuna delle altre, passano altri amici, tiro fuori una scatola e inizio a infilare perle di cernit. un calmo pomeriggio da 4 c: caffè, cicche, chiacchere e collane.
c'è da pensare alla serata: invitiamo un po' di gente a cena, poi forse c'è un concerto. e domani è sabato, e si va a venezia, a bacari. e c'è anche lui.
è primavera, nell'aria c'è profumo di fiori di tiglio e io mi sto prendendo una bella cotta per quell'amico della mia amica.
vivo qui da un anno. lavoro, pago l'affitto, le bollette, spese, vizi e piaceri. con me tre amiche nella stessa barca.
non più ragazze, non ancora donne.
abbiamo le tasche vuote. il mondo in mano e tutta la vita davanti.

ho 26 anni.
primi di settembre. siamo appena rientrati dalla vacanza in toscana.
per un mese starò da lui, dove vive con il suo amico. poi andremo nella nostra nuova casetta. piccola, piccola: cucinino,salotto, camera, bagno, giardino. un tetto tutto per noi.
son passati due anni e mezzo da quella sera a Venezia.
due anni e mezzo di viaggi, passi in avanti, risate e allegria, infiniti aperitivi e lunghissime nottate.
ora si fa un po' più sul serio. finita l'epoca del tutto doppio, spazzolino-ciabatte-pigiama, vengo io da te o tu da me?
niente più ricongiungimenti nel cuore della notte, a casa dell'uno o dell'altra.
tra poco da me e da te sarà la stessa cosa. la stessa casa.

ho 30 anni.
è primavera.
casavecchia è un posto ancora nuovo, le pagine sono bianche, l'entusiasmo frizzante si mescola con torbide insicurezze.
la campagna è un tripudio di fiori. di fronte alla finestra ad arco è tutto un brulicare di vita: gatta e gattini, anatre, gallina e pulcini, Riccardo cuor di pavone passeggia maestoso.
la luce entra di taglio, illuminando di miele il pavimento di legno.
distesa sul divano, mi accarezzo la pancia, che inizia a farsi pancione. respiro a fondo e mi riempio i polmoni, gli occhi, le orecchie, di questa tiepida luce e di questo chiacchericcio silenzioso, che fa la vita nel suo incessante scorrere.
tra pochi mesi la mia vita non sarà mai più la stessa.
non sarò più soltanto io, soltanto mia.
la più grande delle avventure sta per cominciare. la più felice delle rivoluzioni sta per avere inizio.

ho 33 anni.
tra un mese 34.
sono qui seduta a pigiare lettere sulla tastiera.
Zeno mi dorme in braccio. accoccolato come un koala.
quando si sveglierà mi darà uno dei suoi baci bavosi, schioccati a bocca piena. poi mi abbraccerà e mi dirà "taaato beeie" (tanto bene, è la traduzione corretta.)
piegherò quell' abbraccio in quattro, come un foglio, e lo riporrò nello scrigno che tengo nel cassetto.

Questi sono alcuni  dei miei altrove nel tempo, i miei altri quando prediletti, finora, che altri di sicuro arriveranno negli anni.
E voi? "Quando" vorreste svegliarvi domani?








giovedì 10 aprile 2014

l'albero delle stagioni: primavera

Per fare un albero ci vuole un fiore.
E un pomeriggio per noi due sole.
Una lenta passeggiata rientrando da scuola, le nostre chiacchere, il sole in fronte.
Fermarsi sul prato sotto casa a raccogliere fiori.
Dipingere con te, con pennelli in setole di petali.
Cogliere le tue sfumature, quelle nuove, di bimba piccola che diventa grande.
Quelle che a volte mi sfuggono, che prendono vita nel tuo nuovo mondo, quello in cui io ti accompagno ogni mattina, ma in cui non resto.
Quello in cui poi torno a prenderti, e mi corri incontro e in quell'abbraccio del pomeriggio mi sembri ogni volta un po' più alta.
Per fare un albero ci vuole tempo. E calma. E tanta luce.

Il nostro albero della primavera è iniziato a sbocciare così.
Un mazzolino di margherite e qualche dente di leone.
Grandi fogli, ampi come prati.
Colori a dita.





E già che c'eravamo anche qualche foglia dai vasi sul terrazzo.
Basilico, menta, salvia, rosmarino, pansè e ciclamino.
Scoprire le diverse forme, lo spessore, i contorni, le venature e soprattutto...gli odori.


Per fare un albero poi ci vuole un potente raffreddore e un febbrone da cavallo che ci tiene chiusi in casa nonostante la bella stagione splenda lì fuori su prati, alberi e cielo.
E allora ce lo facciamo noi il nostro cielo primaverile, solcato da nuvole e farfalle in volo, che porti colore e scacci la noia.


E poi taglia, taglia e taglia.



E attacca, attacca e attacca.


 E alla fine, eccolo qui, il nostro alberello tutto di fiori fiorito.






Qui l'albero della primavera passata.

martedì 8 aprile 2014

biscotti e disegni

Non sono una virtuosa dell' autoproduzione. Anzi.
Sarà che non mi piace proprio il termine. Produzione. Mi vien già l'ansia.
Io non produco, per carità.
Io faccio.
Faccio quel che mi piace, quando ne ho voglia, perchè pur essendo una che non lavora fuori casa, il mio tempo è cosa troppo preziosa per essere speso senza piacere.
Che di cose che mi tocca fare senza averne voglia ce n'è già parecchie.
Amo cucinare, senz'altro. Ma se ho l'estro giusto. Altrimenti il take away rimane per me una miracolosa manna dal cielo dell'isolato a fianco.
Ci sono solo alcune cose che facciamo regolarmente, vuoi per effettiva convenienza e preferenza di gusti, vuoi per diletto.
Per esempio lo yogurt: richiede pochissimo lavoro, il risparmio economico è davvero notevole e per noi che amiamo quello acido-acido-acido è perfetto.
Poi c'è la birra del marito. In questo caso tutto si svolge all'insegna del diletto e dello svago, del piacere di sperimentare, un hobby e nulla più, senza velleità di produrre quantità tali da non farci comprare più nemmeno una lattina.
Le lattine le compriamo lo stesso, eccome. Per riuscire ad avere litri di birra sufficienti al nostro fabbisogno, più quello di amici e ospiti e omaggi Paolo dovrebbe mettere mano al fermentatore una volta almeno ogni due settimane, invece che quattro volte l'anno...non ci pare proprio il caso, che abbiamo anche altro da fare.
Poi c'è la pizza della domenica, o la piadina del venerdì o di un qualsiasi altro giorno a caso, ma l'appuntamento salta con grande facilità e con piccolo, anzi nullo, rammarico: una pizza in cartone a volte è la degna conclusione di una domenica di puro relax.
A volte faccio il pane. Senza pasta madre, che qui di madre ci sono io e faccio già fatica a mantenermi viva e fresca da sola, ci manca pure il vasetto in frigo.
Magari un giorno chissà, ma ora no, non ce la posso fare.
Compro i miei bei pacchi di miscele pronte, apro, aggiungo zucchero, sale, acqua e olio, impasto dieci minuti, metto a lievitare e poi inforno...mezz'ora et voilà il pane è pronto.
Ci sono settimane in cui mangiamo solo quello, e settimane in cui si fa un po' e un po', e settimane in cui si compra e basta, senza remore.
Così, senza regole, impegni, scadenze ed incombenze.
Lo stesso vale per i biscotti e le torte per la colazione, che facciamo comunque solo fino a quando le temperature lo permettono: seguo pochi comandamenti e uno dice "non accenderai mail il tuo forno d'estate".
Non mi sbizzarisco particolarmente, mi affido a quel paio di ricette facili, gustose, semplici e dal successo garantito.
I digestive, per esempio. Il biscottone inglese per antonomasia, il grande classico da inzuppare in una tazza di earl grey con un goccio di latte. Buonissimi. Sono i miei biscotti preferiti.
Per la colazione del re ne ho sfornato tre teglie, triplicando le dosi della ricetta.
Un pomeriggio di "impasta e inforna" a tutto spiano. Con dei validi aiutanti al mio fianco.


Ovviamente l'entusiasmo dei piccoli aiutanti è scemato velocemente e progressivamente verso più creative ed autogestite forme di intrattenimento.
Non ho mai grosse remore a lasciarli giocare e imbrattarsi di farina, soprattutto quando questa è la chiave del successo per prendere i soliti due piccioni con una fava: io continuo a fare quello che stavo facendo e loro giocano, assorti e concentrati, senza andare in giro per casa a combinare chissàche.


E poi amo le attività improvvisate, vedere come da un pomeriggio di "pasticceria casalinga" prenda forma un momento privilegiato di gioco e scoperta.
Quel che hanno combinato quel pomeriggio sul tavolo della cucina non è nulla di nuovo, sensazionale o trascendentale, ma il suo valore sta tutto nell'essere nato lì per lì, passo dopo passo, creato da loro e con loro e non proposto dall'alto.


Io volevo fare i biscotti con loro. Loro no. Loro volevano disegnare, manipolare, toccare, mescolare.
E allora via le ciotole e dentro i vassoi.
Fuori gli impasti e entrino pennelli, cucchiai e mestoli.




C'è chi li chiama esercizi di pregrafismo.
Io lo chiamo giocare a scrivere.
Un po' come la differenza tra il produrre e il fare.
Io non produco, faccio.
Loro non si esercitano, giocano.


E poi fanno anche i biscotti, certo.
A modo loro, certo.
Divertendosi. Che è quel che conta davvero.



E ora, la ricetta.

ingredienti

  • 100 gr di farina integrale
  • 100 gr di farina 00
  • 100 gr di burro
  • 50 gr di zucchero (bianco, di canna, integrale, fate voi, io faccio metà bianco metà canna integrale)
  • 1 cucchiaino di bicarbonato
  • 2 cucchiai di latte
  • sale q.b.
procedimento
  • mescolare in una terrina le farine, lo zucchero, il bicarbonato, il burro fuso.
  • aggiungere pian piano il latte e continuare ad amalgamare il composto fino ad ottenere una palla
  • lasciar riposare l'impasto per trenta minuti
  • stendere l'impasto, intagliare i biscotti con un bicchiere e forandoli qui e là con una forchetta 
  •  infornare 15 minuti in forno caldo a 180 gradi.
yum yum!



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