mercoledì 29 novembre 2017

trenta dì: novembre

trenta dì conta novembre,
con april giugno e settembre,
di ventotto ce n'è uno, 
tutti gli altri ne han trentuno.

Istantanee di attimi, luci, colori e sapori che scandiscono il tempo dei mesi che si rincorrono l'un l'altro.

 (la colonna sonora di questo novembre è qui, accendete la casse, e felice ascolto)

Credo che tornare indietro sia molto meglio che starsene fermi, a volte. 
A volte ci si stufa, si cerca qualcosa di nuovo, ci si allontana da dove si è partiti. 
Poi ci si guarda indietro, e ci si accorge che tutto sommato, in fondo in fondo, a ben guardare, non era poi così male, lì dove eravamo. 
E così, per l'ennesima volta in questi ultimi due anni, cerco di tornare qui. 
A questo polveroso e assopito blog. 
Riapro le finestre e faccio entrare la luce in queste stanze fatte di parole e immagini.
Ricomincio da qui, dai racconti di quel che accade tra le quattro mura dei miei giorni. 
Giorni semplici, spesso fatti di niente, vissuti con lentezza, cercando di cogliere attimi di bellezza e angoli di luce in mezzo a tanti quotidiani grovigli.
Riparto dai trenta dì di novembre.

Un novembre più luminoso e tiepido di quanto mi aspettassi. 
Le tante ore passate all'aperto, nonostante le giornate sempre più corte.
Le tante ore passate in mezzo ai bambini, in mezzo alle foglie dorate, in mezzo al fango appiccicoso.
Casavecchia a far di nuovo da cornice, ad un quadro nuovo che sto ancora dipingendo.
Un bosco di pianura a far da pareti alla nuova me che sto ancora cercando di costruire.





E le pareti di questa casa, che sento finalmente mia. Mio rifugio, mia tana, mio riparo.
Dove ad ogni angolo trovo pezzi di me, dove ogni angolo racconta qualcosa di me, a ritroso nel tempo, fin da quando ero bambina.
Queste stanze, che a volte assomigliano più ad un'officina creativa, ad un laboratorio, ad una ludoteca, che ad una casa.
Ma non potrei immaginarla diversa. E la sua luce, che entra forte al mattino dalle finestre ad est continua a conquistarmi ogni giorno e a farsi perdonare il suo non essere la casa dei miei sogni.






La lentezza dei pomeriggi passati in casa, riordinando fili, aghi, perle e pensieri.
Con la musica di sottofondo, e una tazza sul tavolo sempre (Tè nero agli agrumi bentornato).
I compiti per casa, scoprire giorno dopo giorno con loro che crescono una nuova creatività. 
Giocare con numeri e parole, costruire un abaco (abbiamo una bravissima maestra di matematica), rispolverare il mio vecchio alfabetiere e provare un brivido, di nostalgia e tenerezza. (avevo una bravissima maestra pure io).










E per finire il giro delle stanze in cui ho abitato questo novembre, la cucina. 
Dove il sole entra da mezzogiorno e alle quattro già accendiamo la luce.
Dove a volte entriamo alle quattro per la merenda e finiamo col restarci fino a cena.
Dove il forno acceso manda profumo di cose buone, quando l'ispirazione c'è (questo novembre il premio piatto del mese va alle crespelle di galettes con ripieno di zucca e formaggi).
Dove a volte mi sembra di incantarmi come un  disco rotto, sempre sullo stesso punto: un ritornello di lavastoviglie da riempire e svuotare, di spese da riporre tra frigo e dispensa, di cene da inventare e di pavimenti da spazzare a fine giornata.
Ma poi, quando la stanchezza stantia e molesta passa (di solito un bicchiere di vino e un po' di buona musica aiutano), mi ricordo sempre di quella frase che suona più o meno così: le brave mamme hanno pavimenti appiccicosi, piatti sporchi e bambini felici.
Ora il pavimento appiccicoso ammetto di avere ancora qualche difficoltà ad accettarlo, ma per i piatti per fortuna c'è la lavastoviglie. 








E così tra polpette di fango e merende sul tavolo della cucina, anche novembre è finito.
E nell'aria inizia già a sentirsi profumo di zenzero e cannella.
Dicembre è alle porte.
Aspetto che bussi, per offrirgli una tazza di tè. Agli agrumi, ovviamente.






mercoledì 22 novembre 2017

l'imbrunir d'ottobre



Ottobre è finito da un pezzo. 
E' finito lontano da casa, quel tanto che mi basta per farmi sentire in viaggio. 
Lontana da casa quel tanto che basta da farmi sentire al mio posto: un tetto nuovo sopra la testa per qualche notte, una manciata di vestiti in un borsone, orizzonti diversi in cui spingere lo sguardo, le loro mani da tenere nelle mie camminando su strade mai fatte prima.

Tre giorni in Croazia, tra laghi e cascate, una casa di legno scuro con le finestre gialle in un minuscolo villaggio.
Partiti con estrema (leggi troppa) calma la domenica mattina, facendo una piccola tappa a Trieste per un pranzo buono in una maleducata osteria dieci chilometri dal centro e un caffè in piazza, lì dove andava Svevo.
Arrivati che il sole era già tramontato da un po', sotto una pioggia fitta e schivando pozze d'acqua e rane che attraversano a salti la strada buia, buia come la più buia delle notti.
Abbiamo attraversato un po' di villaggi di case sparse, immersi in questo buio profondo, prima di arrivare alla nostra di casa e scoprire che per il forte vento degli alberi erano caduti lasciando senza elettricità buona parte dei dintorni.
La ragazza che ci ospitava ci ha fatti salire, torcia in mano, fino al nostro appartamento.
Il calore della stufa a legna, le candele accese e la foresta appena fuori dalle finestre.
Abbiamo cenato con latte, biscotti e mele.
Il mattino dopo mancava pure l'acqua, ma la ragazza ci ha portato miele, formaggio e una moka piena di caffè bollente per la colazione e taniche d'acqua dalla sorgente dietro casa.
Quello che per alcuni poteva essere un disagio per noi è diventato subito sinonimo di avventura e nuovi ricordi da raccogliere  e portare a casa.
Come la passeggiata a Rastoke.


A Rastoke ci sono capitata un po' per caso, un'idea dell'ultimo minuto che mi ha regalato un paio di ore di scorci da fotografare.
Ci siamo andati alla fine del secondo giorno ai laghi di plitvice: una ventina di chilometri ed eravamo lì.
Il primo impatto non è stato dei migliori: la parte nuova del Paese è attraversata da un grande ponte, attraversato da un flusso costante di auto e tir e che sovrasta la parte vecchia.


Rivoli e cascatelle che giocano a nascondino tra case di legno e giardini e prati.
Il legno scuro di certe case, i muri scrostati e i vetri rotti di quelle ancora abbandonate (e che ti viene voglia di adottare all'istante), le staccionate un po' malconce e le piante in vaso ricordo dell'estate passata: tutto qui sembra essere uscito da un libro di racconti fantasy, e non ti stupiresti di vedere uscire Hagrid in persona da una di quelle porte.

Non impiegherete molto a vederla tutta: questione di un'oretta. Due se vi piace andare piano come piace a noi.
Quasi tutte le case sono in realtà affittacamere e alloggi per turisti.
Un bar, graziosissimo peccato per lo stradone proprio davanti che ammazza tutto il fascino di cascate e cascatelle.
Una pizzeria e una taverna poco più in là e il paese è finito.
Ma il fascino di Rastoke sta nel suo aspetto un dismesso, vissuto e rozzo. Sarà stata anche la luce di fine ottobre, il fango, le foglie secche, o che era pur sempre il giorno di Halloween io ci ho respirato un'atmosfera da streghe e orchi e gnomi.
In uno dei mulini ancora si macina il grano, e si vende la farina.
Un altro è un grazioso b&b con vecchi ombrelli rossi a pois sul prato a far da fioriere.
Una zona è adibita a museo e un'altra ancora viene affittata per feste e matrimoni (questa zona purtroppo era chiusa e abbiamo solo potuto vederla da fuori).
Tutt'attorno prati, legnaie, ruscelli e cascatelle, con quel costante rumore d'acqua che ha fatto da colonna sonora a questo paio di giornate tra le montagne e i boschi della Croazia da dove abbiamo salutato ottobre.












Le prossime foto invece le ho scattate a Korana, nuent di più che un vllaggio di case lungo le sponde del fiume. 
Non c'era da vedere nulla più di quanto non si veda in queste foto.
Ma il sole stava tramontando, l'aria profumava di legna, e la luce si faceva sempre più rosa e calda. 
C'era tutta l'essenza dell'autunno, e ne ho portata a casa un po' con me.












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