giovedì 26 novembre 2015

comfort food alle tre zeta: zuppa di verze e pan di zucca

Questo tiepido autunno sta lasciando posto ai primi freddi. Si apre la stagione dei piatti "scaldapancino": minestre,zuppe, creme, vellutate.
Tra tutte una delle mie preferite è la minestra di verze, che sta pure ai vertici della classifica "minimo sforzo, massima resa".
Ho imparato a farla quando abitavo in fattoria: in quegli anni ho mangiato i migliori minestroni di cui abbia memoria e una delle immagini che senz'altro mi evocano fortissimamente l'atmosfera di quel posto e di quel tempo è il pentolone che ribolle sulla stufa, a tenere in caldo la cena per chi sarebbe arrivato dopo.

Se non la conoscete o non sapete come si fa ve lo spiego io. Mi basteranno appena un paio di righe.
A voi invece servirà:
-una verza, o mezza, o due dipende da quanti siete a tavola. Noi con una verza di medie dimensioni ci mangiamo in quattro.
-dado vegetale, fatto in casa o comprato a vostro piacere, o ci aggiungete una carota, uno scalogno e una costa di sedano che poi toglierete.
-un pentolone bello capiente
-acqua con cui riempire il pentolone


Ora che avete tutto dovete lavare la verza e tagliarla a striscioline.
Riempite il pentolone con la verza e il dado, o le verdure da brodo, aggiungete acqua q.b. a coprire bene tutta la verza, mettete sul fuoco, portate ad ebollizione, lasciate cuocere a fiamma media per una ventina di minuti.
Servite calda, in ciotole capienti in cui avrete prima messo dei tozzi di pane raffermo. Si inzupperanno di brodo in un apoteosi di gusto e morbidezza che vi farà tornare bambini in dieci secondi netti, il tempo di darci una spolverata di parmigiano e portare il primo cucchiaio alla bocca.
Io l'ultima volta ci ho messo del pan di zucca avanzato e secco al punto giusto.
Fuori il tempo era uggioso, mi son seduta a tavola da sola con questo piatto di fronte a me.
Un momento a dir poco sublime. Fatelo anche voi, ora che il freddo è di nuovo qui e l'inverno sta arrivando.


giovedì 19 novembre 2015

cucir d'autunno

 Durante quest'autunno, questo caldo autunno, ho cucito molto. Molto più di quanto non abbia mai fatto finora. Con la casa vuota per quasi otto ore al giorno per tre giorni alla settimana finalmente sto riuscendo a dedicarmi alle mie creazioni con più costanza, assiduità, determinazione.
Non ho ancora trovato il ritmo ideale e la perfetta organizzazione delle ore della mia giornata. Mi sono ritrovata all'improvviso con questa distesa di ore libere di fronte a me e alle spalle un ingorgo di cose lasciate lì, sospese, rimandate, mai iniziate a spingermi moleste verso un'uscita comunque ancora troppo stretta per farle uscire tutte assieme.
Ci sono settimane in cui ho addirittura avuto l'impressione di riuscire per assurdo a concludere meno di quanto non facessi prima con il piccolo ancora  a casa con me.
Vedi questo dimenticato e polveroso blog, lasciato a se stesso e del quale mi son trovata perfino a dubitare.
Poi però si torna. Magari non spesso, certo non come i primi entusiastici tempi, senz'altro con un approccio nuovo.
Comunque si torna. Perchè tornare qui è comunque darsi un rinforzo positivo, impegnarsi un po', ancora un po' in qualcosa che comunque mi piace, altrochè se mi piace, non gettare la spugna.
Non sono rare le volte in cui dubito di me, oltre che di questo blog. Delle mie qualità. Spesso non credo molto in me, ecco.
C'è qualcuno che crede in me molto più di quanto non faccia io. Qualcuno che per me vale più del mondo intero, il cui parere su di me, su quel che faccio, su come lo faccio è l'unico che in fondo conta davvero.
L'ho saputo una sera a cena, seduti attorno al tavolo ad un certo punto la conversazione è virata sul mio futuro, sul mio lavoro, su quello che farò quando i bambini saranno più grandi e questa mia occupazione di stay at home mum sarà un po' meno necessaria.
"è velo che quando andlemo alla scuola delementale tu andlai al lavolo, mamma?"
Sì, certo. Cioè sì, insomma, è auspicabile, è quel che spero, che quando saranno un po più grandi anche io mi rimetta a portare a casa la pagnotta. Finora la pagnotta l'ho fatta. E ho fatto molto altro, che non avrà portato denaro, ma senz'altro benessere, quello sì. un benessere non monetizzabile e lasciatemi la romantica e utopistica sensazione che sia quello che vale di più, più dell'oro, della seconda macchina, della settimana bianca, dei vestiti nuovi ogni anno, dei cibi bio super chic, del parrucchiere, dei corsi innovativi per grandi e piccini, e di qualsiasi altra cosa a cui abbiamo scelto di rinunciare.
Ma sto divagando. il problema qui è un altro.
Che non so più cosa voglio fare da grande. che il lavoro che facevo prima, non so se voglio farlo più. Non so se sono più fatta per quel lavoro e non so se quel lavoro fa più per me.
Nel frattempo ci sto lavorando su.
E l'ho detto anche a tavola, quella sera durante quella conversazione.
"Mamma però no sa se vuole tornare a fare il lavoro di prim, sapete bimbi?"
"Ma mamma, so io cosa puoi fare allora." ha sentenziato la grande, con tutta la sua risoluta, concisa, lapalissiana convinzione. "puoi andare a fare il mercato e vendere tutte quelle cuciture bellissime che fai." 
Roba che scoppio a piangere sopra la minestra.
E allora mi sono messa sotto con tutte 'ste cuciture. 
Ho pensato, disegnato, tagliato, cucito, creato. C'ho dato dentro. Ma devo crederci ancora, ancora un po' di più. Ed impegnarmi ancora e ancora e ancora di più.
E magari mostrare pure quel che faccio, invece di tenermelo sul tavolo del salotto, nei cassetti di casa, dove nessuno lo può certo vedere quanto impegno ci sto mettendo.
Quindi signore e signori, cerchiamo di tornarci  a questo polveroso blog, apriamo le finestre.
Facciamo vedere quel che sappiamo fare e quel che creiamo.

Come questo memory di panno. Che ha tante tessere, e tanti piccoli disegni cuciti e ricamati a mano.
Disegni che prima ho disegnato sulla carta, poi ho tagliato sulla stoffa uno per uno.

 24 tessere cucite una ad una, a punto festone. Non c'è mai nemmeno un goccio di colla nelle mie creazioni. Nessuna scorciatoia di cui poi non mi fiderei per quanto riguarda la tenuta. Nessun metodo il cui risultato so già che poi non mi piacerebbe.
Mi sfido, mi metto alla prova, piuttosto, allungando ancor di più i miei bradipisssimi tempi di realizzazione. Mi metto in testa che è arrivato il momento di imparare a ricamare: mi cimento allora nei miei primissimi french knots, non riuscitissimi, ma va bene così, vi terrò qui su quest'albero, come segno dell'impegno che ci metto, dei miei tentativi, della mia ferma intenzione a migliorarmi sempre.
 E continuerò a cucire dettagli, non cederò mai alla velocità di un tratto di pennarello sulle mia creazioni a disegnare minuscoli occhietti e sorrisi felici, smorfie mostruose, boccucce tristi.

 Continuerò a scegliere i colori con cura, studiando in maniera maniacale abbinamenti, accostamenti, sfumature.
Scervellandomi per ore sulla giusta impaginazione, su quale pagina vada accanto a quale altra, sulla distribuzione dei colori, la loro armonia, le sensazioni che già da soli riescono a suggerire.

Continuerò a tagliare a mano ogni singolo pezzo, anche decine e decine di cerchi quando necessario, nessuno uguale all'altro.
 Continuerò a cucire a mano anche il più piccolo dei dettagli.
 A scrivere ricamando, usando ago e filo e panno come fossero carta e penna e colori.
A rilegare le pagine dei miei libri, una ad una, a punto festone. Tutte, mica solo la copertina.
Che è la parte più ripetitiva e noiosa, ma è così che faccio io le cose, questo è il mio stile, che parla di me e parla la mia lingua. Senz'altro poco competitivo sul mercato, lento, minuzioso, certosino.Una piccolissima produzione, pochi pezzi, tutti unici.  Che funziona senza corrente, senza chimica. Un passo alla volta, cambiando filo e colore con le stagioni.
 Io, il panno, l'ago e il filo. E tutte le mie bellissime cuciture , per citare la mia più grande fan.

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